I buoni pasto e i buoni sconto sono entrambi benefici di cui possono godere i lavoratori. Ma in che modo è possibile utilizzarli?
Per i lavoratori dipendenti sono previste diverse forme di fringe benefit ed incentivi volti ad incrementare il loro benessere, non solo per quanto riguarda l’occupazione svolta ma anche la qualità della vita in generale. Le misure di welfare aziendale, infatti, consentono di poter usufruire di beni e servizi messi a disposizione dalle imprese. Queste comprendono i buoni pasto, che si contraddistinguono dai buoni sconto.
Gli strumenti come i buoni pasto rientrano tra le politiche di welfare state che puntano a migliorare il benessere dei lavoratori. Si tratta di una misura a cui ricorrono diverse aziende, in particolare quelle che non sono dotate di una mensa interna, e consiste nell’erogazione di buoni che possano essere usati dai dipendenti per l’acquisto di alimenti fuori dalla sede di lavoro presso le attività commerciali in cui vengono accettati.
I buoni sconto (o buoni spesa), invece, sono spendibili per comprare prodotti tra cui beni alimentari ma anche altri servizi. Infatti, per fare alcuni esempi, sono utilizzabili per l’acquisto del carburante e per attività legate al tempo libero. Se in passato erano visti come meno fruttuosi rispetto ai buoni pasto, oggi sono considerati una valida alternativa nonostante le differenze tra le due misure.
Buoni pasto e buoni sconto: ecco per cosa possono essere utilizzati
I buoni spesa non devono far parte di alcun piano di welfare, a differenza dei buoni pasto. L’azienda, però, potrebbe decidere di erogarli come premi di risultato. Come spiegato in precedenza, non sono presenti vincoli per quanto riguarda l’uso degli incentivi – che, dunque, non rimangono circoscritti all’acquisto di alimenti. Inoltre, non hanno limiti relativi al loro valore: si potrebbe decidere, per esempio, di premiare il dipendente con un’indennità di 100 euro a seconda della volontà dell’azienda.
Nel caso dei buoni pasto, invece, il valore è di massimo 4 euro se elargiti in formato cartaceo e di 8 euro se digitali. Questi non possono essere ceduti ad altri soggetti, né tantomeno cumulati (è previsto un limite di 8 buoni pasto). Non è possibile convertirli in denaro e nemmeno metterli in vendita. Tra le due misure vi è, infine, una differenza di natura fiscale.
I buoni pasto, infatti, costituiscono un costo deducibile per le aziende (che, dunque, non rientra nella base imponibile per le imposte sui redditi) e non concorrono alla formazione del reddito dei lavoratori (i quali non dovranno inserirli nella dichiarazione). Il sussidio, insomma, ha una neutralità fiscale sebbene venga applicata un’IVA con aliquota al 4%.
Mentre per quanto concerne i buoni spesa – che figurano tra i fringe benefit – la detassazione coinvolge solamente alcuni importi. Secondo l’articolo 51 del Tiur, non sono previste tasse fino a 500 euro all’anno. La legge di Bilancio 2024 (insieme a quella del 2025) ha inoltre determinato che i buoni spesa o i fringe benefit non contribuiscano alla formazione del reddito nel caso in cui raggiungano i 1000 euro (per tutti i dipendenti) o i 2000 euro (per coloro che hanno figli a carico).