Le dimissioni da parte di un lavoratore generalmente non danno diritto alla NASPI, l’indennità di disoccupazione. A parte alcune eccezioni.
Ci sono alcune eccezioni stabilite dalla normativa che permettono di ottenere la NASPI quando la decisione di interrompere il rapporto lavorativo non è del tutto volontaria, ma influenzata da comportamenti o circostanze esterne. È fondamentale comprendere questi casi, poiché anche il datore di lavoro, in queste situazioni, ha l’obbligo di versare all’INPS il cosiddetto contributo di licenziamento.
In condizioni normali, un lavoratore che decide di lasciare il proprio impiego non può richiedere la NASpI, e il datore di lavoro non è tenuto a contribuire per il licenziamento. Tuttavia, esistono situazioni specifiche in cui le dimissioni non sono considerate frutto di una scelta del lavoratore, ma sono determinate da fattori esterni. Questi possono includere mancato pagamento degli stipendi, molestie sul posto di lavoro, cambiamenti peggiorativi nelle mansioni, episodi di mobbing o un trasferimento senza giustificate ragioni organizzative. In questi casi, il lavoratore può richiedere la NASpI, poiché la cessazione del rapporto non è considerata volontaria.
Uno dei principali motivi che permettono di ottenere la NASpI in seguito alle dimissioni è la giusta causa. Si parla di giusta causa quando il lavoratore si trova in una situazione in cui non è più possibile proseguire il rapporto di lavoro, neanche temporaneamente. La giusta causa include gravi violazioni dei diritti del lavoratore, tra cui la mancanza di fiducia tra le parti.
Tra i casi riconosciuti dalla giurisprudenza come giusta causa rientrano:
– Ripetuti ritardi o mancati pagamenti dello stipendio;
– Molestie sessuali in ambito lavorativo;
– Cambiamenti significativi e peggiorativi delle mansioni lavorative;
– Mobbing, ossia una serie di comportamenti vessatori nei confronti del dipendente;
– Variazioni ingiustificate nelle condizioni di lavoro dopo la cessione dell’azienda;
– Trasferimenti non giustificati da esigenze organizzative, come previsto dall’articolo 2103 del Codice Civile;
– Comportamenti offensivi da parte dei superiori.
In questi contesti, anche se le dimissioni sono formalmente rassegnate dal lavoratore, non vengono considerate come una scelta volontaria, permettendo così l’accesso alla NASpI.
La NASpI può essere riconosciuta anche in caso di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, ma solo in determinate situazioni. Tra queste, vi sono la procedura obbligatoria di conciliazione e il rifiuto di un trasferimento del lavoratore a una sede distante più di 50 km dalla residenza o raggiungibile in oltre 80 minuti con i mezzi pubblici.
Infine, la NASpI può essere richiesta in caso di dimissioni durante il periodo di maternità, entro il primo anno di vita del figlio, sia per le lavoratrici madri che per i lavoratori padri, nei casi previsti dalla legge, come il congedo di paternità obbligatorio o la morte della madre.
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