Secondo un noto psichiatra i suicidi in carcere sono diventati davvero: ” serve cultura ascolto e formazione specifica”
Negli ultimi tempi, il fenomeno dei suicidi all’interno degli istituti penitenziari ha assunto proporzioni sempre più preoccupanti. Secondo l’associazione Antigone, solo tra venerdì e sabato delle scorse settimane, quattro persone detenute nelle carceri di Ariano Irpino, Biella, Sassari e Teramo hanno deciso di porre fine alla loro vita. Questi eventi tragici portano a 44 il numero totale di detenuti che si sono suicidati nei primi cinque mesi e mezzo del 2024, delineando una media sconcertante di un suicidio ogni quasi tre giorni.
Di fronte a questa emergenza sociale crescente, Maurizio Pompili, professore ordinario di psichiatria all’Università Sapienza e direttore della Uoc di Psichiatria e del Servizio per la prevenzione del suicidio dell’Aou S.Andrea di Roma, sottolinea l’importanza cruciale dell’introduzione negli istituti penitenziari di una cultura della sensibilità rispetto al fenomeno del suicidio. Non si tratta soltanto di interventi isolati o temporanei ma della necessità impellente che operatori penitenziari e detenuti stessi diventino più partecipi ed inclini ad ascoltare chi manifesta segnali d’allarme.
Pompili evidenzia altresì la fondamentale necessità di formare adeguatamente coloro che lavorano a contatto con i detenuti sulle pratiche più efficaci per la prevenzione del suicidio. È essenziale preparare gli operatori non solo ad identificare i segnali d’allarme ma anche a intervenire in modo appropriato quando questi vengono rilevati. Spesso chi contempla il suicidio si sente intrappolato in un tunnel senza via d’uscita; tuttavia, come sottolineato dallo stesso Pompili, “una soluzione può esserci sempre”.
La situazione attuale richiede un cambiamento radicale nell’approccio al problema dei suicidi in carcere. Non è più possibile ignorare le cifre allarmanti né sottovalutare la complessità delle dinamiche psicologiche che portano un individuo alla decisione estrema del suicidio. È imperativo instaurare un dialogo aperto sulla salute mentale all’interno degli istituti penitenziari e promuovere una maggiore consapevolezza sia tra gli operatori sia tra i detenuti stessin.
In conclusione (sebbene non richiesta), affrontare il problema dei suicidi in carcere richiede uno sforzo collettivo mirato alla creazione di ambienti più sensibili alle esigenze psicologiche dei detenuti e alla promozione dell’ascolto attivo come strumento preventivo primario. Solo attraverso l’impegno congiunto delle istituzioni penitenziarie, degli esperti in salute mentale e della società civile sarà possibile ridurre significativamente questo fenomeno tragico.
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