Andare in tribunale con i messaggi audio di WhatsApp, cosa attesta la legge a riguardo e come comportarsi per validare la prova.
Ormai WhatsApp è una piattaforma entrata nel nostro utilizzo quotidiano. Se fino a qualche anno fa in campo giuridico c’erano diversi dubbi sul come comportarsi con le chat di WhatsApp in un’aula di tribunale, adesso la questione è diversa.
Sembra più facile poter riconoscere che l’app, per quanto poco sicura, ha fatto passi da gigante sulla questione privacy e ha inserito nelle conversazioni una crittografia end-to-end capace di rendere partecipi dei messaggi solo mittente e destinatario, lasciando fuori tutti gli altri.
Questo passo in avanti ha dato sicuramente più credibilità all’app di messaggistica, ma quando si parla di legge, la questione si fa più ostica. Per poter dichiarare davanti a un giudice che le prove che si hanno sono messaggi audio su WA, soprattutto in questo periodo in cui vige l’inganno delle AI non è poi così facile. La Corte si deve avvalere di un tecnico capace di analizzare le prove proposte per poi dichiarare se queste ultime sono valutabili come reali oppure come alterate. Vediamo come.
L’articolo 2712 cod. civ. stabilisce infatti che “ogni rappresentazione meccanica di fatti e cose forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate solo se colui contro il quale sono state prodotte non ne disconosce la conformità”. Ciò significa che l’altra persona deve instillare il dubbio di falsità per le conversazioni presentate dalla controparte, solo in questo modo si può tutelare dalle prove e farle reputare non idonee.
Ovviamente il principio applicato sugli audio vocali e in generale sui messaggi di WhatsApp, implica che una volta instillato il dubbio, la Corte faccia trattare la questione da tecnici in grado di riconoscere se le prove sono reputabili vere oppure se invece si possono dichiarare manomesse. Rimane quindi un limite sottile sulla validità di questa tipologia di prove che sta prendendo sempre più piede in tribunale.
Inoltre, l’articolo 2719 cod. civ. prevede che le riproduzioni fotografiche di documenti hanno la stessa efficacia probatoria degli originali, purché la loro conformità sia attestata da un pubblico ufficiale o non sia esplicitamente contestata. Se applicato questo articolo anche a queste forme di prove ‘elettroniche’, che rimangono comunque delle documentazioni presentabili in aula, è chiaro che nel caso in cui i tecnici le ritenessero false, la controparte avrebbe la possibilità di farle ritenere senza alcuna validità di fronte al Giudice.
Invece, nel caso in cui la parte opponente non avesse modo di contestare in giudizio l’autenticità dei messaggi, questi diventano automaticamente prova documentale di cui il giudice deve necessariamente tenere conto ai fini della soluzione della vertenza.
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